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E quindi Sanremo

 

E quindi Sanremo – Sanremo 2024, un pot-pourri che mi ha mandato in crisi. Fatico a dare struttura all’ articolo, perché vorrei parlare di tutto e niente, quindi un po’ quello che l’edizione è stata. L’aspettativa era di commentare un classico programma che sì, negli ultimi anni ha riguadagnato una certa popolarità, ma era comunque un classico un po’ borghese, un po’ pregno di comicità che personalmente non mi ha mai attirato, un po’ di quella bella canzone una ogni ventinove artisti. Quest’anno, in mezzo ai già sopra citati aspetti, se ne sono aggiunti altri di cattivo gusto e di occasioni sprecate. E cosa c’entra tutto questo con la Canzone Italiana?

Per prima cosa, credo bisogni fare subito pace con l’idea, (o con la conferma) che gli anni ormai sono diversi, nel (poco)bene e nel (troppo) male. Se prima per un interiorizzato politically correct e per reiterato decoro, faceva strano utilizzare determinati programmi come quello del Festival per lanciare messaggi (anche se nel passato ci sono state prove del contrario), ad oggi non si può più pretendere che un cantante,  sia solo “un cantante” e non una persona pensante che si esprime anche attraverso la musica. Ed essere pensanti, che lo si voglia o meno, significa essere politici: come si può pretendere di votare per il proprio paese se non si ha un’idea di quello che si vuole?

Qualcuno di qualche partito color verde speranza e che di speranza ce ne lascia sempre poca, ha declamato in questi giorni che gli artisti dovrebbero solo fare la loro performance canora e svignarsela dal palco, che addirittura sarebbe meglio attuare una sorta di controllo affinché chi usa un palco del genere per fini diversi venga in qualche modo punito.

Chi di voi l’ha letto con un tono giusto un po’ antidemocratico?

Nell’era dove automaticamente documentiamo tutto, fare i finti tonti è patetico, così come lo è censurare. A non ammettere la verità ci si fa solo una pessima figura.

Il nostro, è un periodo storico estremamente complesso, delicato, ma svelato in tutte le sue sfaccettature: che si decida di utilizzare un mezzo come la musica per passare un messaggio di pace, di cui ogni singolo essere su questa terra ha diritto, non può che essere una cosa positiva, per non dire sacrosanta. Ma a quanto pare, ci piace distinguere vittime di serie A e serie B.

E quindi parliamo dell’intrattenimento. Niente commenti sul ballo del “qua-qua”, che se Fiorello che c’ha messo la faccia, e Russel Crowe, potenziale seconda vittima, c’hanno riso su, non vedo perché non dovremmo farlo noi. Che viviamo nella stessa epoca dei programmi di Barbara D’Urso. I co-co che hanno affiancato l’ultimo Festival di Amadeus (non di certo uno dei suoi memorabili), hanno avuto poco, ma combattuto spazio, per far emergere le loro qualità: mai più far co-condurre a voci come quelle di Mengoni e Giorgia in un contest canoro, giusto per non far scontati e palesi paragoni; e magari, dopo la Mannino e la Cuccarini, forse è arrivato il momento di far condurre il Festival ad una donna dopo ben tredici anni, che ne dite? A me basta che si tolgano un po’ dalle scatole i due signori dei divani.

Quindi veniamo alle canzoni: converrete con me che non si ha certo bisogno della mia opinione dopo che ne stanno parlando (e lo faranno ancora per troppo ) praticamente la qualunque. Eppure eccomi qui a dire che, da una della generazione x, ci sono stati dei e delle performance che mi hanno soddisfatta nella quasi totalità. E perché con testi impegnati, o con parole e ritmi leggeri al punto giusto da non far cadere il brano nel dimenticatoio tormentone. E che si, magari avrei desiderato una classifica diversa, ma di sicuro non mi dispero la notte: sia perché ha vinto una canzone acchiappa-movimento-del-bacino con un testo interessante (vi invito a leggerlo per bene, che sul palco di Sanremo, tutti i cantanti sono improvvisamente colti da questo biascichio che impedisce di capire cosa diamine stanno dicendo), sia perché è ingenuo pensare che vinca sempre e per sempre la canzone adatta: nel 1969 Lucio Battisti con Wilson Pickett, si posizionò nono con Un’avventura. Su. Di certo sarebbe bello se il Festival fosse musicalmente attraente come nella serata delle Cover: forse si gioca facile, battendo su terreni già di successo, ma lo sforzo e la bellezza di veder cimentare artisti in altro, fa quasi quasi scoprire il loro vero talento, nel canto, nell’esibizione, nell’arrangiamento, nell’intelligenza emotiva della scelta del pezzo.

Che non vinca sempre la canzone Sanremese è anche giusto. Non può tutti gli anni calcare il podio la “Uomini Soli” di turno, (magari, sospireranno alcuni di noi), ma è il “prezzo” da pagare se si rispettano i tempi che cambiano e si vuole “accontentare” più generazioni e se si vuole che il Festival non rimanga nelle mensole di casa della nonna.

 

Di Alessia Thomas 

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