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Alcune riflessioni sul processo di “turistificazione” a Napoli: i napoletani e la napoletanità

Alcune riflessioni sul processo di “turistificazione” a Napoli: i napoletani e la napoletanità – La scorsa settimana abbiamo affrontato un aspetto strettamente legato al discorso sulla “turistificazione”, facendo leva sull’importanza del coinvolgimento di figure giovani, appassionate e specializzate nel settore del turismo. Ci siamo interessati a sottolineare il ruolo cruciale ricoperto dal piacere e dalla voglia di fare, in un mondo come quello della cultura, che, per forza di cose, necessita di continue stimolazioni ed ampie vedute.
In questa terza ed ultima sezione, affronteremo il tema della napoletanità, e di come questa viene vissuta dagli abitanti stessi della città. Lo faremo assumendo, come ogni volta, una visione globale e mai trascurante o men che meno banalizzante.
Fare turismo con il solo scopo di trarne guadagno economico o di portare a termine deleghe di sindaci e comitati, equivale a fare tutt’altro. Questo continuo ripetersi di attività ed iniziative viste e riviste, abbandonando il senso dell’originalità e della crescita, è roba da pigri, da chi non crede realmente nella meraviglia che questa città ha da offrire su un piatto d’argento.
E anche su questo punto che ci sarebbe da riflettere: il ricavo in denaro è sì fondamentale, ma non dovrebbe andare a discapito della creatività e dell’innovazione. L’intenzione di migliorare, di spingersi oltre, non può mai svanire.
La nostra Napoli è bella perché piena: piena di colori, di voci, echi e misteri. Napoli è zeppa di mura che paiono pagine di libri di storia, caffè caratteristici e palazzi che nascondono giardini segreti. È piena anche di tante persone che nel turismo credono davvero, e su di esso continuano a puntare imperterrite. Persone che si scontrano ogni giorno con il pregiudizio di una Napoli che è “solo” mare, sole e mandolino (e di cui è fautore il napoletano stesso), che cercano di far vivere il passato attraverso gli sforzi del presente, senza mai adagiarsi o arrendersi alle logiche del potere.
Quell’ “e di cui è fautore il napoletano stesso” non deve sfuggire. È un punto sul quale vale la pena soffermarsi per poter comprendere il perché di questa continua autosvalutazione da parte del popolo napoletano. Prendiamo l’esempio della recente polemica sui “panni stesi” fatti di cartone, esposti in Via dei Tribunali.
La napoletanità è anche questo, il “panno steso” è il simbolo del vivere la vita nella sua semplicità e quotidianità, proprio come accade qui. La naturalezza che traspare dagli elementi più tradizionali della città ha fatto di Napoli un pozzo di folklore che è sempre stato e sempre sarà intramontabile. Da ogni suo piccolo dettaglio traspare il bisogno incontenibile di preservare il passato, restandovi gelosamente avvinghiati.
Nel tempo, questa ossessione per il vecchio ha chiuso le porte a numerose opportunità di innovazione, ed è così che oggi ci ritroviamo ad essere ricordati come quel popolo caciarone, a cui piace esagerare nei gesti e nell’eloquio, ma che di base resta cristallizzato in un tempo che non esiste più.
A molti questo non sta bene, non più. I “panni stesi” di Via dei Tribunali sono riduttivi, sempliciotti a detta di alcuni; banalizzano l’essenza della città di Napoli, richiamando elementi visti e rivisti, e marciando su qualcosa che sembra ormai essere obsoleto e all’apparenza privo di una reale intenzione celebrativa della città.
È vero, Napoli è ricca nel suo essere così com’è, su questo non ci piove. I panni appesi ai fili tra un palazzo e l’altro, il pescivendolo che richiama l’attenzione dei passanti, il Pulcinella che balla sui muretti che costeggiano il lungo mare; sì, signori. Questa è Napoli, ma c’è anche tanto altro. Ed è forse questo ciò che oggi, con fare sprezzante, porta molti a non identificarsi più con una Napoli i cui caratteri peculiari sono stati nel tempo sfruttati ed abusati, perdendo il loro valore e trascinando la città verso una paralisi a tratti irrimediabile.
È una città vecchia, perché vecchia i suoi abitanti vogliono resti per sempre. Ma bisogna pensarla così: inneggiare alla storia ed alle ricchezze del territorio napoletano non significa lasciarsi andare al sogno di un passato che non tornerà, ma continuare a darci dentro e far leva perché tutto questo possa continuare a perpetuarsi nel tempo, dando spazio al meglio e al nuovo.
Innovazione, voglia di riscoprirsi e riaffermarsi, gioia per la novità: questo è ciò a cui Napoli dovrebbe aprirsi, mantenendo però certamente le sue radici, che fanno di questa città una realtà unica e suggestiva, che trasporta il corpo e rapisce gli occhi ed il fiato, ormai da secoli.

 

Di Claudia di Neubourg

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