+39 348 9983871

I suoni del Natale

I suoni del Natale –  Quando apro la sala i giorni dei concerti, è già buio. I porticati di Galleria Principe riflettono delle lucine di altri locali più distanti, mi affretto quindi a rafforzare quel calore che Napulitanata in sé già contiene. L’albero che al buio si nasconde dietro il pianoforte, si illumina di bianco e azzurro, pare fatto di pasta di zucchero; mi piace accendere tutti i fari e proiettare della musica jazz. Mi piace sistemare quelle sedie un po’ pesanti per il pubblico che verrà, ripulire i vetri dei tavolini che emettono sempre un cricchio, aprire il frigorifero e sentire le bottiglie che tintinnano fra loro, contare quelle che verranno poi stappate. Mi piace sentire il cigolio della porta che ad un certo punto non farà altro che aprirsi e chiudersi: a scoglioni, entrano tutti i membri della famiglia. Una rispolverata veloce alle note del piano, il basso ottuso si accorda, la voce nello sgabuzzino che si riscalda, altre ridono, si confidano. Il chiacchiericcio della gente che comincia ad accalcarsi fuori la porta, l’accendino che schiocchia la fiamma per le candele, il suono stridulo del jack nel computer da inizio alla colonna sonora che accoglie gli ospiti.  Qualche sera fa alcuni di loro sono entrati con una decina di buste piene di regali, queste hanno strusciato sotto la panca dove sono stati custoditi per l’intera serata; quando sono passata per porgere i programmi, li ho sentiti commentare la folla per le strade della città, “non ne avevano mai vista così tanta! Ma San Gregorio Armeno quante persone può contenere?”

Sarà diventato anche questo un luogo comune? Ce lo teniamo stretto: San Gregorio Armeno, almeno a Natale, nessuno ce lo deve toccare. È una fiumara: di colori, di scalpitii, di sguardi. Di voci, che cercano di comunicare con quelle di fianco ma non ci riescono per il troppo chiasso. Alcune sono sguaiate, altre forti e possenti che hanno bisogno di vendere. Si fischia, una bimba che  vorrebbe essere da tutt’altra parte, ma poi guarda quel pastore nel presepe che inforna il pane e rimane a bocca aperta. “Non si tocca!”, e si ritira subito il dito che vuole esplorare la statuetta di Osimhen: ma bisognerà pur verificare quali di questi artigiani ha inciso meglio la sua maschera. “C’è pure Freddy Mercury!” si sente dire, “Ma gli sposi qua? Che so, quelli inglesi? Guarda Lucio Dalla. Vabbè annamo, va”. Il bisbiglio continua all’unisono, alle volte qualche cane guaisce, costretto a vedere solo i piedi frettolosi dei passanti. “Cinquanta euro pe’ nu’ pastore ca sciaqu’ ‘e panne? Ma tu si’ pazzo!”. Eppure sono sicura che per una statuetta di Maradona avrebbe volentieri speso più del doppio.

Prima di addormentarli, i bambini con cui lavoro, hanno il bisogno fisiologico di parlare a macchinetta, ridere, rigirarsi e canticchiare. Qualche giorno fa, il piccolo Andrea, dopo aver dato il peggio di sé durante il giorno, s’è addormentato intonando “Jingle bells, jingle bells, jingle all the-” e ha cominciato a russare. Dopo un’intera mattinata che avevo speso a riprenderlo ad alta voce, non capendo perché nessun tono, né docile né irato riuscisse a calmarlo, quelle uniche paroline e il suo russare, mi hanno riportato ad una pace che poche volte riesco a raggiungere. Elio, invece, non voleva proprio schiacciarlo il pisolino. Ha cominciato a parlare di quanto vorrebbe chiedere a Babbo Natale se puo’ invitare a casa sua tutti i suoi amici, pure quelli con cui fa la lotta, e pure Aurelio. Se poi il Babbo gli dice di no, lui li invita comunque. Non l’ho voluto addormentare, ho preferito ascoltarlo: ed è ritornata la pace.

Una volta scrissi, come vorrei fotografare gli odori della pastiera. Ora vorrei riuscire a riscriverne i suoni: il mattarello e la pasta che si stende, la farina che silenziosa si posa, la ricotta e lo strutto, lo scatolo dei canditi che si apre, la manopoletta del forno che si gira, si riscalda, pronto ad accogliere il dolce. Mia nonna che diceva “e vuoi vedere come si stende la pasta?”

Cammino per strada nel rumore quotidiano che ora è musica: vogliono vendermi le pantofole, il pesce fresco, al telefono si discute da chi cenare a natale, da mamma, dalla tua, il capitone, la carne, a me il pandoro non piace e il panettone?

Le risate dei miei amici, Michael Bublè che sempre verde risbuca, il silenzio della sera, mentre dalla finestra appannata dal freddo si spiano le luci nelle case degli altri, il ronfare del mio cane, che beato, per lui è sempre festa. È un Babbo Natale tutto l’anno: dona calore ogni giorno e non chiede mai nulla in cambio.

Quello che sento a Natale, dentro e fuori, vorrei sentirlo sempre. Vorrei non fosse solo un mese, un’occasione effimera per fare regali, per addobbare, per incontrare quei parenti e rivederli poi, l’anno prossimo. Vorrei che le risate fossero di più delle urla, che le urla appartenessero solo ai bimbi che vanno in alto alto con l’altalena.

Prestiamo l’orecchio a chi ride, custodiamo quel suono: quello è un vero regalo.

 

Di Alessia Thomas

Related Posts

Leave a Comment!

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Translate »
0
preloader